Contratto a tutele crescenti: reintegrazione con il patto di prova nullo
Il Tribunale di Milano si è recentemente espresso (con una sentenza del 3 novembre) in merito alle conseguenze di un licenziamento in prova nel vigore della nuova normativa sul contratto di lavoro a tutele crescenti.
Nel caso di specie il patto di prova non era previsto per iscritto come richiederebbe la disciplina codicistica, ed è quindi stato considerato dal Tribunale come inesistente.
Il datore di lavoro non era riuscito a dimostrare in sede di giudizio l’effettiva esistenza del patto di prova a seguito del disconoscimento della firma operato dal lavoratore sul contratto prodotto dalla società, e non fornendo quindi alcun motivo alla base del licenziamento.
Il Giudice, attesa l’assenza del patto di prova, considera il recesso datoriale alla stregua del licenziamento disciplinare nullo per insussistenza del fatto materiale.
Pertanto, anche nel vigore del contratto a tutele crescenti, il Tribunale esclude la corresponsione delle sole indennità previste dal comma 1 dell’articolo 3 del D.Lgs. 23/2015 – applicando la tutela dettata per i licenziamenti disciplinari nulli per insussistenza del fatto materiale, con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione e al versamento al lavoratore delle mensilità non percepite, fino ad un massimo di 12, a norma del comma 2 dell’articolo 3 del sopracitato Decreto.
La decisione del Tribunale milanese segue una sentenza del Tribunale di Torino di pochi giorni prima, del medesimo orientamento.
Anche in questo caso il datore di lavoro aveva intimato il licenziamento adducendo al mancato superamento del periodo di prova sulla base di un patto che in realtà era stato stipulato posteriormente all’istaurazione del rapporto di lavoro, e perciò radicalmente nullo.
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