Torna indietro

News

Corte di Giustizia UE: nuovi orientamenti in materia di licenziamenti collettivi e requisiti dimensionali

La Corte di Giustizia, nella causa C-422 del 2014, con sentenza datata 11 novembre 2015, si è pronunciata sul tema dei requisiti soggettivi e oggettivi di applicabilità della normativa sui licenziamenti collettivi.

La questione pregiudiziale sollevata dal giudice spagnolo verte sull’interpretazione della direttiva europea n. 98 del 1959, trasposta nel diritto italiano per la parte qui rilevante dalla legge n. 223 del 1991.

Ci si chiede se ai fini dei requisiti dimensionali dell’impresa per l’applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi siano rilevanti anche i contratti a termine, o se questi debbano essere esclusi dal conteggio.

Ci si chiede, inoltre, se le cessazioni volontarie del contratto da parte del lavoratore possano contare ai fini del conteggio dei licenziamenti recentemente avvenuti, quando queste siano state causate da una modifica unilaterale peggiorativa delle condizioni di contratto (per il qual caso il diritto spagnolo prevede inoltre il riconoscimento di un’indennità).

La Corte di Giustizia ritiene che in entrambi i casi le fattispecie descritte debbano essere incluse nel rispettivo conteggio.

Per quanto riguarda, infatti, la rilevanza dei lavoratori con contratto a termine, la Corte sottolinea che questi rientrano nella nozione di “lavoratori abituali” a cui fa riferimento la direttiva, così come definita dal diritto dell’Unione, che nel richiedere l’abitualità non pone tuttavia alcun requisito riguardo alla durata dell’assunzione.

Non osta a tale interpretazione il fatto che la direttiva escluda dalle tutele in essa previste proprio i lavoratori con contratto a termine: un conto, difatti, è escludere dalle tutele una determinata categoria di dipendenti, un conto è prevederne o meno la rilevanza ai fini dei requisiti soggettivi di applicabilità delle stesse.

Discorso più complesso riguardo all’assimilabilità della cessazione volontaria del contratto da parte del lavoratore causata dal datore di lavoro al licenziamento. In questo caso, difatti, la cessazione è originata solo formalmente dalla volontà lavoratore, essendo in realtà causata dal comportamento del datore di lavoro. Alla luce delle finalità di tutela della direttiva n. 98 del 1959, la nozione di licenziamento a cui fa riferimento la direttiva va interpretata estensivamente, ricomprendendo dunque il caso in esame.

Con riferimento al nostro ordinamento, quest’ultimo principio enucleato potrebbe applicarsi, ad esempio, nei casi di recesso dal rapporto di lavoro da parte del dipendente per giusta causa, finora esclusi dal conteggio per i requisiti richiesti dalla normativa sui licenziamenti collettivi.