Il “whistleblowing” nel settore privato
Il 21 gennaio 2016 la Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge che modifica profondamente la disciplina del “whistleblowing” ed estende la sua efficacia anche a quelle imprese che siano dotate di un modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. 231/2001.
La legge sul whistleblowing può essere definita come il provvedimento a tutela di tutti i soggetti (whistleblower) che, nell’ambito di un’organizzazione o di un’azienda, vengono a conoscenza di comportamenti illeciti e ne denunciano gli autori alle competenti autorità.
Se la proposta di legge dovesse essere approvata anche in Senato, il whistleblower che effettui in buona fede “segnalazioni circostanziate” di condotte illecite, sulla base della ragionevole convinzione fondata su elementi di fatto, non potrà essere sanzionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti pregiudiziali, diretti o indiretti, sulle sue condizioni di lavoro.
A protezione di ritorsioni contro il “delatore”, infatti, è stata posta l’Autorità nazionale anticorruzione, a cui è stato attribuito l’onere di comminare sanzioni pecuniarie amministrative fino a trentamila euro nei confronti di chi commette atti discriminatori in danno del segnalatore.
La proposta di legge garantisce, inoltre, la riservatezza dell’identità del whistleblower nei limiti delle leggi e del codice di procedura penale; se la segnalazione, infatti, svela un’ipotesi di reato sulla base della quale viene instaurato un processo penale, la riservatezza viene meno poiché nel nostro sistema garantista l’accusa non può esimersi dal testimoniare.
Il datore di lavoro può, sempre sulla base del disegno di legge, anche licenziare in tronco il segnalante, nel caso in cui questi abbia ricevuto una condanna in sede penale, anche in primo grado, per calunnia in seguito alla segnalazione.
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