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La Cassazione restringe il perimetro del giustificato motivo oggettivo

Secondo una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. L, n.5173/2015) per verificare la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, è necessario l’accertamento di una situazione di difficoltà dell’impresa che giustifichi il licenziamento, inevitabile per far fronte ad uno stato di crisi.
Alla luce di tale principio (espresso anche da Cass. Sez. L, n.21282/2006, Cass. Sez. L, n.19616/2011) il datore di lavoro deve dimostrare “la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale.”
Per molti anni il giustificato motivo oggettivo è stato configurato sulla scorta dell’articolo 41 della Costituzione: il datore di lavoro poteva liberamente organizzare la propria impresa indipendentemente dallo stato economico in cui versava e doveva semplicemente dimostrare che il lavoratore non poteva più occupare quel posto poiché quest’ultimo era stato soppresso. La giurisprudenza ha successivamente posto in capo al datore di lavoro l’onere di dimostrare, oltre alla soppressione del posto, che non era più possibile impiegare il lavoratore in una mansione equivalente, o assegnarlo ad una inferiore. La Cassazione nella sentenza del 2015 ricorda peraltro che “per dimostrare l’impossibilità di repêchage, non basta la produzione del libro matricola, ma occorre la prova specifica dell’incollocabilità mansionale del lavoratore”.

Va inoltre ricordato che, a questo orientamento più restrittivo, se ne contrappone un altro, che non consente al giudice di sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, come libera espressione dell’attività economica tutelata dall’articolo 41 Cost. (Cass. Sez. L, n.7474/2012, Cass. Sez. L, 18416/2013). In questi casi il giudice di merito è tenuto al controllo dell’effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo che ha comportato il licenziamento, mentre il datore di lavoro “ha l’onere di provare l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, pur esigendosi dallo stesso lavoratore una collaborazione nell’accertamento di un suo possibile reimpiego nel contesto lavorativo, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali poteva essere utilmente collocato, conseguendo a tale allegazione l’onere della parte datoriale di provare la non utilizzabilità dei posti predetti”(Cass. Sez. L, n.25197/2013).