Torna indietro

News

Lavoratori distaccati all’estero: cambia la disciplina

È stato approvato dal Consiglio dei Ministri un decreto legislativo in tema di distacco transfrontaliero, in attuazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo, adottata allo scopo di integrare la precedente direttiva in materia, la 96/71/CE.

La nuova disciplina, che abrogherà il precedente decreto legislativo 72/2000, con il quale era stata recepita la prima direttiva 96/71/CE, interviene sia sulla libera circolazione dei servizi sia sulla parità di trattamento tra lavoratori distaccati e lavoratori del Paese ospite. Al lavoratore distaccato verranno garantite le norme protettive del Paese ospite, inerenti a specifiche materie, già definite in passato dalla direttiva 96/71/CE.

La menzionata direttiva prevedeva altresì che lo Stato ospite potesse estendere ai lavoratori distaccati la disciplina nazionale anche in altre materie, fin tanto che si trattasse di “disposizioni di ordine pubblico”. Tale eccezione era stata ampiamente utilizzata da molti Stati, Italia compresa, portando però di fatto ad una totale uniformazione tra la disciplina applicata ai distaccati e la normativa nazionale, in deroga al principio comunitario della libera prestazione dei servizi (come affermato dalla Corte di Giustizia già nel 2008, con sentenza C-319/06, Commission v Grand Duchy of Luxembourg).

Il nuovo provvedimento si propone da un lato di porre vincoli più stringenti all’impiego in Italia di lavoratori distaccati da aziende di altri Paesi dell’Unione europea o terzi, per contrastare l’applicazione di regole e trattamenti retributivi e previdenziali del Paese d’origine perché più convenienti. A questo scopo al personale distaccato devono essere riconosciute le stesse <<condizioni di lavoro e occupazione>> applicate nel Paese in cui si svolge il distacco. Ma d’altra parte, tenendo conto dei principi affermati dalla Corte, precisa come tali condizioni di lavoro e occupazione siano limitate al “nocciolo duro” della direttiva 96/71/CE, quali ad esempio i limiti massimi di lavoro e minimi di riposo, ferie e minimi retributivi, così da restringere il campo della parità di trattamento a specifiche materie.

Il nuovo decreto si applicherà a tutte le imprese situate nell’Ue che distaccano uno o più lavoratori presso un’altra impresa, anche appartenente allo stesso gruppo, oppure presso un’altra unità produttiva della stessa azienda. La nozione di distacco risulta più ampia di quella utilizzata dalla normativa lavoristica ordinaria, applicandosi a tutti i casi in cui un lavoratore, abitualmente occupato in uno Stato, svolge temporaneamente il proprio lavoro in uno Stato diverso. Vengono quindi ricompresi anche gli addetti impiegati nell’ambito di un contratto di somministrazione o di un appalto di servizi e i fenomeni di mobilità interna all’azienda, e non solo l’ipotesi in cui un datore di lavoro metta temporaneamente il proprio dipendente a disposizione di un soggetto diverso.

Il decreto legislativo attuativo della direttiva 2014/67/Ue inoltre rafforzerà gli strumenti per combattere i casi di fittizia allocazione di un datore di lavoro presso Stati membri dell’Unione europea diversi da quelli dove si svolge la prestazione, allo scopo di applicare regimi contributivi o regolamentari meno rigorosi.

Per contrastare eventuali abusi, il nuovo decreto legislativo introduce all’art. 3 una serie di indicatori da utilizzare per verificare la genuinità del distacco e che costituiscono il presupposto per applicare il rigido regime sanzionatorio previsto dal decreto. Secondo tale regime nel caso in cui il distacco presso un’impresa stabilita in Italia non risulti autentico, il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione. Inoltre sia il distaccante che il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (la sanzione, in ogni caso, non può essere inferiore a 5mila euro né superiore a 50mila euro).