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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e validità dei criteri di scelta adottati per il recesso

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25192/2016, è stata chiamata a valutare se fosse riscontrabile una violazione e/o falsa applicazione dei principi di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 del cod. civ., nel caso di licenziamento per motivo oggettivo, comminato da una società ad un lavoratore, sulla base di criteri diversi da quelli "oggettivi" stabiliti ai sensi dell'art. 5 della legge 223/1991.

La Suprema Corte investita della questione, confermava la ragionevolezza dei criteri utilizzati (maggior costo della retribuzione, minor rendimento lavorativo e condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore) in quanto oggettivamente enucleabili tra fatti riferibili alla comune esperienza con riguardo alle qualità e alle condizioni personali dei lavoratori che consentivano, pertanto, di effettuare, su basi oggettive, una comparazione dei lavoratori stessi.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, il datore di lavoro deve improntare l'individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, ai sensi dell'art. 1175 cod. civ. e sebbene, in tale contesto, l'art. 5 L. n. 223/1991 possa offrire uno standard idoneo ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone "non può escludersi l'utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati".