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​Nuovi spunti della Cassazione in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto

Con la recentissima sentenza del 10 gennaio 2017, n. 284 la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto.

La fattispecie riguardava la dipendente di uno studio professionale il cui contratto di lavoro era stato recentemente trasformato da tempo pieno a tempo parziale, con orario dalle 9.00 alle 13.00. Lo studio professionale, nel calcolo per il licenziamento per superamento del periodo di comporto (pari a 180 giorni, secondo il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro), aveva dato rilevanza anche a quelle giornate in cui la dipendente si sottoponeva a trattamenti di dialisi nel pomeriggio, mentre quest’ultima aveva regolarmente prestato la propria attività lavorativa al mattino, come previsto dal suo contratto. La Corte di Cassazione, accogliendo il motivo di doglianza della lavoratrice, ha ritenuto che le assenze per malattia nelle ore pomeridiane dovessero essere escluse ai fini del calcolo in questione ed ha rinviato il giudizio alla corte territoriale, affinché effettui nuovamente una verifica sul superamento del periodo di comporto, tenendo in considerazione il principio affermato in sentenza.

Inoltre la Suprema Corte, in linea con l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non deve essere considerato un licenziamento disciplinare (per il quale è necessaria una “completa e minuta descrizione delle circostanze relative alla causale”) bensì un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per questo motivo, ai fini del recesso, il datore di lavoro non è tenuto ad indicare i singoli giorni di assenza, ma può semplicemente indicare il numero totale di assenze in un determinato periodo, fermo restando che, in una eventuale sede giudiziaria, sarà tenuto ad “allegare e provare compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato”.

Nella pronuncia in oggetto, la Corte di Cassazione ha altresì disposto che la trasmissione al datore di lavoro, da parte del lavoratore, di certificati di malattia durante le ferie in relazione a giorni compresi in tale periodo vale quale modifica del titolo di assenza (da ferie a malattia), pur in assenza di una espressa comunicazione (scritta o orale) al riguardo. Ne consegue che, anche i giorni feriali ricompresi in un certificato di malattia del lavoratore, devono essere conteggiati ai fini del superamento del periodo di comporto. Con questa argomentazione, la Suprema Corte ha disatteso la censura della dipendente che voleva escludere tali giorni dal conteggio, anche considerato il comportamento successivo di quest’ultima, la quale aveva “accettato” le buste paga con imputazione a malattia delle giornate in questione e conseguente ricalcolo delle competenze. Tale circostanza è stata ritenuta dalla Cassazione “idonea e sufficiente a confermare la volontà di convertire il titolo dell’assenza”.