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Il "silenzio malizioso" integra raggiro ed è causa di annullamento anche degli accordi sottoscritti in sede sindacale

La Corte di Cassazione con la sentenza 8260 del 2017, introduce il concetto di “silenzio malizioso”, che si verifica quando una parte omette di informare l'altra su questioni di rilievo per valutare la convenienza di un accordo.

La sentenza in commento richiama alcuni precedenti della Corte di Cassazione, secondo cui il silenzio serbato da una parte con malizia ed astuzia, e debitamente preordinato, integrerebbe la fattispecie di dolo omissivo ai sensi dell’articolo 1439 c.c. (Corte Cass. 7751/2012).

Il caso attiene ad una nuova assunzione effettuata dall’impresa poco tempo dopo la firma dell’accordo individuale in sede sindacale.

La mancata comunicazione al lavoratore di tale intenzione, secondo la Suprema Corte, sarebbe comportamento doloso, in quanto atto ad indurre nel dipendente licenziato la convinzione che la propria posizione lavorativa sia inclusa tra quelle eccedentarie nell’ambito della procedura di mobilità, e quindi idoneo a “trarre in inganno” il lavoratore.

Tali artifizi vanno comunque parametrati alla situazione di fatto, e alla loro idoneità a trarre in inganno un soggetto mediamente diligente, non essendo tutelato invece colui il cui l’affidamento si basi sulla negligenza (Corte Cass. 20792/2004).

Questo principio rischierebbe, d’altra parte, di minare la stabilità delle ormai consolidate procedure di negoziazione sindacale in sede protetta, lasciando un’estrema discrezionalità al Giudice qualora utilizzata estensivamente.

La fattispecie richiamata è tuttavia ancora in discussione: la Cassazione ha infatti rimesso al Tribunale di merito la valutazione della sussistenza in concreto del silenzio malizioso.