La procedura di collocazione in mobilità estesa anche ai dirigenti? Sì, secondo la Corte di giustizia
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sezione II, con sentenza del 13 febbraio 2014
sub C‑596/12, ha condannato l’Italia per l’illegittima esclusione,
operata con Legge n. 223/1991 in materia di licenziamenti collettivi,
della categoria dei dirigenti dalla procedura di mobilità ivi prevista.
La suddetta sentenza risolve la controversia promossa dalla Commissione
europea, la quale ha adito la Corte di Strasburgo sul punto, sostenendo
il contrasto del combinato disposto degli artt. 4 e 24 della Legge n.
223/1991 con l’art. 1, paragrafo 1 e 2 della direttiva comunitaria n.
98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di licenziamenti collettivi.
Secondo la Corte, tale esclusione non troverebbe fondamento e
giustificazione nella normativa comunitaria, la quale stabilisce che la
disciplina sui licenziamenti collettivi si applichi a tutti i
lavoratori, con la sola eccezione dei lavoratori con contratti a tempo
determinato, dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli
equipaggi delle navi. Infatti, nella motivazione della sentenza, la
Corte argomenta che “la nozione di «lavoratore» non può essere definita
mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, bensì ha una
portata comunitaria”. Di conseguenza, ciò comporta che anche i dirigenti
– in quanto lavoratori secondo l’accezione comunitaria – debbano essere
assoggettati alla procedura di licenziamento collettivo di cui alla
Legge 223/1991.
Dal canto suo, l’Italia aveva già preso posizione sulla vicenda mediante
una nota del 7 agosto 2008 nella quale osservava che le disposizioni
previste dall’ordinamento italiano in relazione ai dirigenti fossero ad
essi più favorevoli, in quanto gli stessi fruiscono comunque di una
serie di idonei strumenti di sostegno di natura economica oltre che di
supporto alla ricollocazione professionale previsti dalla contrattazione
collettiva.
Tuttavia, la contestazione mossa all’Italia riguarda non tanto la
presenza o meno di condizioni economiche migliorative in favore dei
dirigenti, quanto il mancato godimento per questi ultimi delle garanzie
procedimentali di consultazione con le organizzazioni sindacali previste
nell’ambito dei licenziamenti collettivi. In ragione di ciò, dunque, la
Corte europea ha statuito che l’Italia sia venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti in forza della normativa comunitaria, così privando la
direttiva n. 98/59 di espletare totalmente i suoi effetti.
Come si può facilmente intuire, la pronuncia qui esaminata costituisce
un precedente di rilevante importanza, sia in considerazione dello
scenario di profonda incertezza che ne scaturisce con riguardo alle
misure da adottare in futuro che per le conseguenze che potrebbe
provocare sul piano pratico, con particolare riguardo alle procedure di
mobilità già avviate o, addirittura, a quelle già concluse.
Ferrario Provenzali Nicodemi & Partners tra i migliori studi di diritto del lavoro anche nel 2023, secondo la speciale classifica di TopLegal
Nuove indicazioni del Garante Privacy in merito alla gestione della pandemia sui luoghi di lavoro: vaccinazioni e ruolo del medico competente.
LA TUTELA DELLE INFORMAZIONI AZIENDALI RISERVATE: ASPETTI GIUSLAVORISTICI E CIVILISTICI
Welfare aziendale e incentivo all’esodo: due chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate
L’assenza dal luogo di lavoro per rispetto dell’obbligo di isolamento al rientro delle ferie è ingiustlificata.