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Lavoratori itineranti: il viaggio verso il primo cliente è compreso nell’orario di lavoro?

La sentenza della Corte di Giustizia n. 266 del 2014 si occupa della nozione di orario di lavoro, così come definita dalla direttiva 2003/88 in tema di salute e sicurezza dei lavoratori.

La causa che ha dato origine al rinvio riguarda alcuni lavoratori spagnoli, dipendenti di una società che ha deciso di sopprimere le sue sedi regionali. L’attività di questi soggetti viene dunque riorganizzata in modo che ricevano direttive in via telematica su dispositivi mobili direttamente al loro domicilio prima dell’inizio della giornata di lavoro. Le direttive impartite comprendono l’itinerario da svolgere per raggiungere i clienti presso i quali eseguire la propria prestazione, che consiste nell’installazione di dispositivi di allarme.

Il tema è dunque il tempo intercorrente fra la partenza dal proprio domicilio e l’inizio della prestazione presso il primo cliente, e l’analogo intervallo fra l’ultimo cliente della lista e il domicilio del lavoratore, costituisca o no orario di lavoro, con tutte le conseguenze di legge.

Ritiene la corte, che in un caso come quello testé prospettato, la nozione di orario di lavoro debba ricomprendere il predetto periodo temporale.

Ai sensi della menzionata direttiva, l’orario di lavoro è l’opposto dell’orario di riposo, sì che non vi possano essere periodi “grigi” intermedi.

Perché un periodo di tempo possa essere considerato orario di lavoro occorre che in tale periodo il lavoratore si trovi nel luogo di lavoro, sia a disposizione del datore di lavoro, e stia esercitando l’attività a cui è preposto o le sue funzioni.

Per quanto riguarda l’ultimo dei descritti requisiti, ritiene la corte che per i lavoratori itineranti, non sussistendo luogo fisso o abituale di svolgimento della prestazione lavorativa, ed essendo quindi con regolarità chiamati a svolgere la propria prestazione in luoghi sempre differenti, lo spostamento costituisca strumento con il quale la prestazione viene fornita. Nonostante quindi i compiti precipui del lavoratore siano tecnici, in essi includono anche lo spostamento, che è dunque parte integrante della prestazione.

Per quanto riguarda il c.d. criterio d’autorità, ovvero l’essere a disposizione del datore di lavoro, la Corte ritiene che durante lo spostamento, contrariamente a quanto ha espresso il giudice del rinvio, il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro; in questo periodo la disponibilità del lavoratore è ridotta, atteso che quest’ultimo deve spostarsi e le comunicazioni sono necessariamente limitate, di tal ché risulta difficile esercitare il proprio potere di direzione. E’ d’altra parte vero che il datore di lavoro ha sempre la possibilità di variare la prestazione richiesta al lavoratore in tale periodo, ad esempio aggiungendo un cliente al tragitto o variandolo completamente, senza che il lavoratore possa rifiutarsi di ottemperare. Le uniche difficoltà sono quindi di natura tecnica, e quindi irrilevanti in giudizio.

Per dei lavoratori itineranti come quelli del caso in esame, gli spostamenti sono intrinseci alla prestazione, non avendo gli stessi un luogo di lavoro fisso o abituale. Ne deriva che il luogo di lavoro di tali lavoratori non può essere ricondotto al domicilio dei clienti visitati.