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È sempre grave l’assenza ingiustificata

Secondo la Cassazione (sentenza n. 6260 del 2016) l’assenza ingiustificata dal lavoro non perde i propri connotati di gravità anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia demansionato il dipendente fino alla sua completa inattività. Infatti, anche in una situazione di demansionamento, il dovere primario del lavoratore consiste nel rendere (o, perlomeno, offrire di rendere) la propria prestazione lavorativa in difetto della quale è legittimo il licenziamento per giusta causa.

La sentenza in oggetto trae origine dalla vicenda di una lavoratrice la quale, privata di ogni effettiva mansione per oltre un anno, si era assentata dal lavoro senza giustificazione per 12 giorni consecutivi (di cui 9 lavorativi).

La sentenza in commento si discosta da un altro orientamento (Corte di Cassazione n. 1693 del 2013) che pone l’accento sul principio di autotutela di cui all’art. 1460 c.c., secondo il quale il rifiuto di svolgere la prestazione lavorativa può essere legittimo ove proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme alla buona fede.

Secondo detto precedente indirizzo giurisprudenziale non esiste solo per il datore di lavoro l’obbligo di retribuire il proprio dipendente, ma anche quello di farlo lavorare.

Conformemente al disposto dell’art. 1460 c.c., il Giudice, secondo il precedente orientamento della Cassazione, doveva analizzare gli opposti inadempimenti delle parti, procedendo ad una valutazione comparativa che attenesse alla loro “proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse”. E quindi un rifiuto della prestazione non poteva ritenersi giustificato se non a fronte di un inadempimento di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c.